Sinodalità. “Il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”

Una riflessione teologico - pastorale

In occasione del cinquantesimo anniversario del Sinodo dei Vescovi (17 ottobre 2015) Papa Francesco ha detto che è la sinodalità «il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio». Si tratta di un’affermazione programmatica, che abbraccia l’intero popolo di Dio, nella ricchezza e varietà delle sue espressioni. In questa linea, il Documento della Commissione Teologica Internazionale, dedicato a La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, pubblicato il 2 marzo 2018, afferma: «La sinodalità, in contesto ecclesiologico, indica lo specifico “modus vivendi et operandi” della Chiesa Popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice». Per operare al servizio del rinnovamento della comunità ecclesiale, allora, occorre attivare un “processo sinodale”, un cammino in cui tutta la Chiesa si trovi impegnata secondo i tre aspetti inseparabili della sinodalità: la comunione, la partecipazione e la missione (cf. Papa Francesco, Discorso Ai fedeli della Diocesi di Roma, 18 settembre 2021). Risulta perciò quanto mai opportuno approfondire il tema della sinodalità nella ricchezza e molteplicità dei suoi aspetti, per cogliere la forma in cui potrebbe essere recepito nella nostra Chiesa locale e nella comunione fra le Chiese che sono in Itali

1. Il rinnovamento ecclesiologico cattolico e la sinodalità

La concezione ecclesiologica dominante nella teologia cattolica anteriore al Concilio Vaticano II era caratterizzata dall’accentuazione degli aspetti visibili e istituzionali della Chiesa. L’accentuazione si era sviluppata nella teologia medioevale, in rapporto da una parte al ruolo storico-politico che la comunità cristiana era andata assumendo, dall’altra in relazione alla separazione sviluppatasi fra il Corpo di Cristo «vero» dell’eucaristia a quello ecclesiale, chiamato «mistico». La compiuta formulazione di questa tendenza si avrà nell’ecclesiologia della Controriforma, attenta a sottolineare al massimo le mediazioni visibili ed istituzionali della Chiesa in alternativa all’«invisibilismo», attribuito ai Riformatori. Così, Roberto Bellarmino affermerà: «Perché qualcuno possa essere dichiarato membro di questa vera Chiesa, di cui parlano le Scritture, noi non pensiamo che sia da lui richiesta alcuna virtù interiore. Basta la professione esteriore della fede e della comunione dei sacramenti, cose che il senso stesso può constatare. La Chiesa infatti è una comunità di uomini così visibile e palpabile come la comunità del popolo romano, o il regno di Francia, o la repubblica di Venezia».
Non mancheranno voci tese a riscoprire la Chiesa nella sua interiorità e nel suo mistero come, nel secolo XIX, quelle della Scuola di Tubinga in Germania, di John Henry Newman in Inghilterra, di Antonio Rosmini e della Scuola romana in Italia. In particolare, sarà l’opera di Johannes Adam Möhler L’unità nella Chiesa, maturata nel clima del romanticismo tedesco e nutrita da un fecondo ritorno al pensiero dei Padri, a presentare l’unità della Chiesa come frutto dell’azione dello Spirito Santo: «L’unità della Chiesa cristiana consiste in una vita, accesa direttamente e continuamente dallo Spirito divino; vita che si conserva e si propaga per il fattivo amore che stringe fra di loro i fedeli». Questa forte percezione della dimensione pneumatologica, unitamente al clima romantico, influenzerà l’idea della Chiesa intesa come mistero di unanimità nell’amore, depositaria, custode e trasmettitrice della verità cristiana.
Nonostante queste voci anticipatrici, però, l’ecclesiologia cattolica dominante si presentava concentrata sugli aspetti visibili e istituzionali dell’appartenenza alla Chiesa. Il bisogno di un rinnovamento ecclesiologico muoverà proprio dai limiti della teologia dei manuali e delle scuole: il secolo XX – definito molto presto in ambito teologico come il «secolo della Chiesa» – si aprirà segnato da questo bisogno, che la crisi provocata dalla prima guerra mondiale ulteriormente evidenzierà. Le cause più profonde e decisive del rinnovamento ecclesiologico vanno, comunque, individuate nella vigorosa presa di coscienza del soprannaturale provocata dall’azione antimodernista, nel movimento liturgico, nel “ritorno alle fonti” bibliche e patristiche, nella riscoperta del ruolo attivo del laicato, nei primi impulsi del movimento ecumenico moderno. Il rinnovamento si viene configurando come «una riscoperta degli elementi soprannaturali e mistici della Chiesa, di uno sforzo umile e religioso per considerare in tutta la sua divina profondità il mistero della Chiesa».
È in questo clima culturale e spirituale che fiorisce e si sviluppa in ambito cattolico la teologia della Chiesa Corpo mistico di Cristo, cui darà voce la Mystici Corporis (29 giugno 1943) di Pio XII, aprendo ai nuovi sviluppi, che troveranno spazio nella primavera del Concilio Vaticano II. Nell’assise conciliare la Chiesa verrà proposta come “communio” a immagine della Trinità divina, da cui proviene e verso cui tende, una comunione in cui l’unità nutre e vivifica la diversità e questa è sostenuta e a sua volta alimentata dall’azione unificante dello Spirito Consolatore, specialmente nell’eucaristia, culmine e fonte di tutta la vita della Chiesa. Alla maturazione di questa rinnovata visione dell’essere e dell’agire ecclesiale contribuirà in modo speciale il dialogo ecumenico.
In particolare, avrà un ruolo rilevante il rinnovato rapporto con l’Ortodossia. Così, al culmine di un fecondo scambio teologico durato alcuni decenni, la 14° sessione della Commissione mista fra la Chiesa Cattolica e le Chiese ortodosse nel loto insieme, svoltasi a Francavilla (Chieti) dal 15 al 22 settembre 2016, leggerà il valore del ministero di unità del Vescovo di Roma al servizio della sinodalità della Chiesa intera nel primo millennio come possibile modello per l’esercizio della comunione sinodale fra le Chiese e nelle Chiese locali oggi. Il Documento di Chieti, approvato in quella sessione, s’ intitola “Sinodalità e primato nel primo millennio: verso una comprensione comune al servizio dell’unità della Chiesa”. Il Documento riflette sui tre livelli dell’esistenza storica della Chiesa: quello locale, quello regionale e quello universale.
In primo luogo vi si afferma l’importanza fondamentale della Chiesa locale, presieduta dal vescovo, segno di Cristo pastore, specialmente nella presidenza dell’assemblea eucaristica celebrata con i presbiteri e il popolo di Dio (nn. 8-10). Il rilievo dato alle Chiese locali viene coniugato alla necessità di una comunione regionale fra loro, espressa da sinodi e concili cui le Chiese locali partecipavano attraverso i loro vescovi. Questa comunione episcopale ha dato origine alle metropolie e ai patriarcati, in cui la varietà delle Chiese locali riconosceva una manifestazione e uno strumento significativo dell’unica fede professata da tutte (cf. nn. 11-14). Il passo importante fatto a Chieti è stato quello di attestare insieme la necessità e la fondatezza di un’espressione della comunione a livello universale (nn. 15-19).
In questo contesto, riaffermando l’importanza della comunione sinodale di tutti i vescovi accomunati dalla successione apostolica, Ortodossi e Cattolici hanno unanimemente affermato il ruolo unico del vescovo di Roma, la Chiesa che presiede nella carità, a cui è stato sempre riconosciuto il primo posto nell’ordine (“tàxis”) delle sedi patriarcali. Così, la “sinergia” del vescovo di Roma fu definita dal secondo concilio di Nicea del 787 come una delle condizioni necessarie per riconoscere l’ecumenicità di un concilio. Il riferimento o l’appello alla sede romana e al suo Vescovo e l’accordo con lui furono insomma percepiti sempre più come segno e garanzia dell’unità della Chiesa universale (cf. n. 19). La conclusione del Documento di Chieti apre ai possibili, necessari sviluppi della riflessione e del dialogo, specialmente sul modo in cui «il primato, la sinodalità e l’interrelazione che esiste tra loro possano essere concepiti ed esercitati oggi e in futuro» (n. 21). Potrà il modello del primo Millennio tornare in auge per realizzare la comunione delle Chiese d’Oriente e d’Occidente nel terzo Millennio nel senso della sinodalità vissuta a tutti i livelli?

2. La “sinodalità” per il rinnovamento della Chiesa

Citando il Documento della Commissione Teologica Internazionale dedicato a La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa nel suo discorso ai Vescovi italiani il 20 maggio 2019, Papa Francesco ha sottolineato le due direzioni inseparabili di essa: quella «dal basso in alto, ossia il dover curare l’esistenza e il buon funzionamento della Diocesi: i consigli, le parrocchie, il coinvolgimento dei laici (cf. CIC 469-494) … E poi la sinodalità dall’alto in basso…». Le due direzioni richiedono una partecipazione piena all’esercizio della sinodalità sia da parte di chi esercita il ministero ordinato al servizio della comunione, sia da parte di chi partecipa di questa comunione in forza del battesimo. L’altro nome che si potrebbe dare a questo stile di sinodalità è quello di un’alleanza di corresponsabilità e di servizio tra tutti i membri del popolo di Dio.
Ognuno, secondo il carisma ricevuto e il ministero che è stato chiamato ad esercitare, è responsabile con tutti gli altri della vita e della missione della Chiesa, in una coralità che si esprime nella reciproca accoglienza e nel reciproco ascolto, valorizza e rispetta la diversità dei carismi e dei ministeri e si fonda sull’analogia fra la comunione trinitaria e quella ecclesiale. Si tratta di far crescere una Chiesa di cristiani adulti e corresponsabili, in cui ciascuno viva in comunione con gli altri, mettendo i doni ricevuti al servizio dell’utilità comune e lasciandosi arricchire dai doni che lo Spirito effonde negli altri. Ciò potrà avvenire se ci sarà un costante esercizio di accoglienza e accompagnamento, di discernimento e d’integrazione: sono queste le parole chiave di un’azione pastorale ispirata ad una matura sinodalità.
Nel suo discorso di aperura del processo sinodale Papa Francesco ha esplicitato così questo dinamismo vitale per il popolo di Dio: «Il punto di partenza nel corpo ecclesiale è… il battesimo. Da esso, nostra sorgente di vita, deriva l’uguale dignità dei figli di Dio, pur nella differenza di ministeri e carismi. Per questo, tutti sono chiamati a partecipare alla vita della Chiesa e alla sua missione. Se manca una reale partecipazione di tutto il Popolo di Dio, i discorsi sulla comunione rischiano di restare pie intenzioni. Su questo aspetto abbiamo fatto dei passi in avanti, ma si fa ancora una certa fatica e siamo costretti a registrare il disagio e la sofferenza di tanti operatori pastorali, degli organismi di partecipazione delle diocesi e delle parrocchie, delle donne che spesso sono ancora ai margini. Partecipare tutti: è un impegno ecclesiale irrinunciabile!» (Discorso in occasione del Momento di Riflessione per l’inizio del Percorso Sinodale, 9 ottobre 2021).
Un tale stile di partecipazione richiede il superamento di tre possibili rischi, che il Papa ha così indicato: «Il primo è quello del formalismo. Si può ridurre un Sinodo a un evento straordinario, ma di facciata… Invece il Sinodo è un percorso di effettivo discernimento spirituale, che non intraprendiamo per dare una bella immagine di noi stessi, ma per meglio collaborare all’opera di Dio nella storia. Un secondo rischio è quello dell’intellettualismo…: far diventare il Sinodo una specie di gruppo di studio, con interventi colti ma astratti sui problemi della Chiesa e sui mali del mondo… Infine, ci può essere la tentazione dell’immobilismo: siccome “si è sempre fatto così” … è meglio non cambiare. Chi si muove in questo orizzonte, anche senza accorgersene, cade nell’errore di non prendere sul serio il tempo che abitiamo… Per questo è importante che il Sinodo… coinvolga, in fasi diverse e a partire dal basso, le Chiese locali, in un lavoro appassionato e incarnato, che imprima uno stile di comunione e partecipazione improntato alla missione» (ib.).
Papa Francesco insiste, infine, nel sottolineare la necessità di vivere il processo sinodale come «un tempo di grazia … che, nella gioia del Vangelo, ci permetta di cogliere almeno tre opportunità. La prima è quella di incamminarci non occasionalmente, ma strutturalmente verso una Chiesa sinodale: un luogo aperto, dove tutti si sentano a casa e possano partecipare. Il Sinodo ci offre poi l’opportunità di diventare Chiesa dell’ascolto: di prenderci una pausa dai nostri ritmi, di arrestare le nostre ansie pastorali per fermarci ad ascoltare. Ascoltare lo Spirito nell’adorazione e nella preghiera… Infine, abbiamo l’opportunità di diventare una Chiesa della vicinanza… Lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza… Se noi non arriveremo a questa Chiesa della vicinanza con atteggiamenti di compassione e tenerezza, non saremo la Chiesa del Signore. E questo non solo a parole, ma con la presenza, così che si stabiliscano maggiori legami di amicizia con la società e il mondo: una Chiesa che non si separa dalla vita, ma si fa carico delle fragilità e delle povertà del nostro tempo, curando le ferite e risanando i cuori affranti con il balsamo di Dio» (ib.).
L’idea della Chiesa come comunione sinodale ci stimola così a riscoprire la più profonda identità ecclesiale di ogni battezzato. Questa riscoperta si traduce in domande che ognuno di noi può rivolgere a sé stesso: come vivo l’impegno a cui sono stato chiamato dal Signore nella Chiesa e per la Chiesa che amo? Come mi faccio carico della sollecitudine per la Chiesa intera, nella comunione con i carismi e i ministeri altrui? Come mi rapporto al ministero di unità cui sono chiamato a collaborare? Mi apro alla novità dello Spirito, impegnandomi nel discernimento di ciò che egli dice al suo popolo, in ascolto responsabile e attento della Parola di Dio trasmessa nella Chiesa? Nutro fedelmente la vita secondo lo Spirito, partecipatami dalla Parola di Dio e dai Sacramenti? Riconosco con gli occhi della fede la Chiesa come icona della Trinità, nel cui seno sono stato generato per celebrare in tutto la gloria della Trinità divina?
Vivere questa comunione attiva e dinamica significa per ogni battezzato far esperienza della sinodalità, fuggendo i due estremi che ne rendono impossibile la realizzazione: «Nella vita della Chiesa sono possibili due estremi; e tutti e due si chiamano egoismo. Essi si verificano rispettivamente quando ciascuno o quando uno solo pretendono di essere tutto. In quest’ultimo caso il vincolo dell’unità è così stretto, e l’amore così soffocante, che non si può evitare di spegnerlo; nel primo caso tutto è così sconnesso e freddo, che si gela. Uno di questi egoismi genera l’altro. Ma né uno, né ciascuno possono essere il tutto. Solo tutti costituiscono il tutto, e solo l’unione di tutti forma un tutto. Questa è l’idea della Chiesa cattolica». Come affermava Yves Congar, allora, «non bisogna fare un’altra Chiesa, bisogna fare una Chiesa diversa» (Vera e falsa riforma nella Chiesa, Milano 1994, 193).
Citando queste parole Papa Francesco aggiunge: «È questa la sfida. Per una “Chiesa diversa”, aperta alla novità che Dio le vuole suggerire, invochiamo con più forza e frequenza lo Spirito e mettiamoci con umiltà in suo ascolto, camminando insieme… con docilità e coraggio. Vieni, Spirito Santo. Tu che susciti lingue nuove e metti sulle labbra parole di vita, preservaci dal diventare una Chiesa da museo, bella ma muta, con tanto passato e poco avvenire. Vieni tra noi, perché nell’esperienza sinodale non ci lasciamo sopraffare dal disincanto, non annacquiamo la profezia, non finiamo per ridurre tutto a discussioni sterili. Vieni, Spirito Santo d’amore, apri i nostri cuori all’ascolto. Vieni, Spirito di santità, rinnova il santo Popolo fedele di Dio. Vieni, Spirito creatore, fai nuova la faccia della terra. Amen».

+ Bruno Forte