Messaggio per la Quaresima e la Pasqua 2024

Vivi le Tue prove e cura chi è malato sull’esempio di Gesù...

Le domande che la malattia pone a ognuno di noi, in particolare a chi ne abbia avuto esperienza nella propria vita o in quella di persone amate, si potrebbero formulare così: perché il dolore? perché questo male? perché proprio a me? Per chi crede in Cristo redentore a queste domande se ne aggiunge un’altra, decisiva: se il Padre di Gesù e nostro è un Dio buono, perché permette che le Sue creature soffrano tanto? Il Vangelo ci presenta la risposta a questo interrogativo della nostra fragilità, che vive le ore oscure della prova e a volte lotta col dubbio: Gesù assume la nostra fragilità, la redime e la salva nell’amore di Dio.

Anzitutto, la nostra fragilità è assunta da Gesù: il Figlio eterno è venuto fra noi per fare suo il nostro dolore e dargli senso, consolazione e forza! Egli ha assunto la nostra fragilità condividendo le nostre angosce, le nostre paure, i nostri mali, la nostra sofferenza, la nostra morte. È questo l’annunzio della buona novella: dovunque un uomo soffra, il Figlio eterno venuto fra noi è presente a soffrire con lui e a sostenere il peso del suo dolore con il Suo aiuto. La fede in Gesù ci assicura che Dio ci accompagna con amore nella salute e nella malattia: è Lui il grande compagno della nostra sofferenza, come lo è nella nostra gioia!
Proprio così, la fragilità assunta da Gesù diventa fragilità redenta: egli ha trasformato quello che nel dolore e nella morte era maledizione in una via di redenzione e di salvezza, facendosi lui stesso “maledizione per noi” (Gal 3, 13). Chi soffre unendosi al Salvatore e offre con Lui al Padre il proprio dolore, fa sì che l’amore divino per gli uomini, che ci è stato donato in Cristo, trasformi la sofferenza in un cammino di redenzione e di grazia, capace di cambiare dal di dentro il nostro cuore. Con Gesù il dolore diventa salvifico!

È la testimonianza data al mondo da San Giovanni Paolo II, non solo con un testo come la Salvifici doloris (Lettera Apostolica sul senso cristiano della sofferenza umana, 11 febbraio 1984), ma anche mostrando con il Suo esempio come nell’ora del dolore tutto possa essere offerto a Dio per divenire amore salvifico per la Chiesa e per l’intera famiglia umana. In un colloquio avuto con Lui durante gli esercizi spirituali che fui chiamato a predicargli nel 2004, parlando delle prove seguite all’attentato che aveva subito, non esitò a dirmi, guardandomi con occhi che penetravano l’anima: “Ma il Papa deve soffrire!”.

Quello che il santo Vescovo di Roma ha testimoniato con la parola e con la sua vita è che la buona novella del Dio che soffre per noi è anche la buona novella di ogni dolore offerto per amore: offrirlo con Gesù al Padre, offrirlo per sé stessi, offrirlo per coloro che amiamo, è il dono più grande che possiamo fare a noi e agli altri. È, peraltro, quanto ci invita a fare con il suo esempio l’apostolo Paolo: «Io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24).

Non c’è nessun dolore inutile, se viene offerto con amore e per amore in unione con Gesù! L’ammalato ha una dignità infinita e le sue prove possono essere una grazia per l’umanità intera: come tale, va trattato con profondo rispetto, ricordando che ognuno ha la sua storia e va accompagnato in quello che è il suo modo di affrontare il dolore e di vivere la prova che, offerta per amore, può diventare redenzione e salvezza per tanti. Proprio così, la fragilità viene salvata: il dolore offerto per amore insieme al Signore sofferente e risorto prepara la vita che non avrà fine e apre il nostro cuore alla speranza. Chi soffre con fede non è mai solo!

Attraverso la carità e l’amore dei propri cari, con l’aiuto della preghiera, mediante la professionalità dei medici e del personale sanitario, la grazia divina interviene in soccorso di chi è malato e lo rende capace di essere testimone di fede e di carità, fonte di consolazione e di speranza per sé e per gli altri. È quanto aveva compreso San Camillo de’ Lellis, figlio della nostra Chiesa diocesana, che così motivava il suo servizio agli infermi:
«Che la Tua grazia mi dia un affetto materno verso il mio prossimo, sì che io possa servirlo con ogni carità tanto dell’anima, quanto del corpo… con quell’affetto, che suole avere un’amorevole madre verso il suo figlio unico infermo. Per l’amore col quale mandasti Tuo Figlio a morire per noi, tieni sempre acceso il mio cuore del fuoco di questo amore senza che mai si estingua, affinché io possa perseverare in questa santa opera e perseverando pervenire alla gloria del cielo per poter con i Tuoi eletti goderti e lodarti in eterno».

In modo particolare, poi, è il sacramento dell’unzione a essere segno della vicinanza di Dio al malato, presenza del Medico celeste che soccorre la nostra fragilità perché venga curata e salvata nella speranza. Strumento della Grazia e fonte di pace, l’olio degli infermi ricevuto con fede rende presente l’azione del Redentore, che nella forza del suo Spirito trasforma il dolore in amore, l’esperienza della prova in offerta, e fa della cura un beneficio anche spirituale, da vivere come partecipazione alla salvezza che in Cristo risorto ci è stata donata.

A tutto il personale sanitario, ai medici, agli infermieri, ai volontari e alle volontarie che si fanno prossimi ai malati, ai parenti e agli amici di chi soffre, in modo specialissimo agli infermi, va annunciata questa buona novella del Dio che si è fatto compagno del nostro dolore per sostenerci nella prova, farci cooperatori del bene e salvarci nel tempo e per l’eternità. Affidandoci a Maria, che ai piedi della Croce ha accompagnato la passione del Figlio, preghiamo perché possiamo vivere tutto questo nella nostra vita e chiediamo al Signore che la quaresima di quest’anno sia un tempo di speciale attenzione e amore verso chi soffre, specialmente da parte di chi opera al servizio e nella cura degli infermi:

Signore Gesù, Medico celeste, Tu che hai voluto assumere la nostra sofferenza per trasformarla in cammino di redenzione e di salvezza, Tu che hai guarito e liberato dal male i tanti infermi che accorrevano a Te, aiutaci a vivere con impegno generoso la vicinanza agli ammalati, per essere collaboratori della loro salute nel tempo e per l’eternità. Fa’ di noi Tuoi testimoni, capaci di offrire le nostre prove per amore e di condividere con chi soffre la fede in Te, fonte di cura, di guarigione e di vita rinnovata. E Maria, Salute degli infermi, ci accompagni e aiuti tutti i malati a perseverare nella prova insieme con Gesù, il testimone fedele, l’amore incarnato di Dio, la speranza che non deluderà mai. Amen!

Decalogo del medico e di chiunque si prenda cura degli infermi

1. Rispetta la dignità e l’autonomia della persona che si affida alle Tue cure, mettendoti in ascolto di quanto è e ti dice di sé.
2. Da’ al paziente un’informazione comprensibile e completa sul suo stato, con la necessaria attenzione e delicatezza.
3. Persegui sempre la difesa della vita, la promozione della salute fisica e psichica e la cura di ogni persona.
4. Vivi la Tua professione con generosa dedizione e in spirito di servizio.
5. Agisci sempre con autonomia di giudizio, disponibilità al confronto e responsabilità di comportamento.
6. Non abbandonare mai la cura del malato e comportati con umanità e solidarietà verso tutti.
7. Cura ogni paziente con impegno scrupoloso, senza alcuna discriminazione.
8. Rispetta la legalità nell’esercizio dell’attività medica in ogni suo aspetto e vigila perché la società civile investa risorse adeguate in ambito sanitario.
9. Custodisci il segreto professionale e tutela la doverosa riservatezza su ciò che Ti è confidato o hai osservato.
10. Ricorda che la Tua attività è una missione e sostienila con la preghiera e con il costante aggiornamento della Tua preparazione.