Avvenire 22 agosto 2025
Editoriale. Digiuno, preghiera e poi pace: le priorità da ristabilire
L’Antico Testamento presenta il digiuno in una visuale ampia, accompagnandolo con la preghiera (come ad esempio in Gl 1,14) e collegandolo al dolore e al lutto (come in 2 Sam 1,12; o nel libro dei Giudici 20,26; o nel primo libro delle Cronache 10,12). Nei momenti più solenni della storia della salvezza i protagonisti scelgono di digiunare: lo fa Mosè prima di ricevere le tavole della Legge, e per ben quaranta giorni (Es 34,28); lo fa Davide, che con il digiuno riconosce il peccato commesso (2 Sam 12,17.20.23) e testimonia il desiderio di riparare al male compiuto. La regina Ester, prima di affrontare il re Assuero e il perfido Aman, digiuna tre giorni e chiede a tutto il popolo di digiunare in segno di penitenza, testimoniando che la forza viene da Dio, cui spetta ogni potere (Ester 4,16). Digiuna il re Acab dinanzi all’annuncio delle disgrazie che si sarebbero abbattute sulla sua casa: addolorato «si stracciò le vesti, si coprì di sacco e digiunò» (1 Re 21,27). A loro volta per i profeti il digiuno non dovrà mai essere una pratica solo esteriore, fine a sé stessa (cfr. Is 58,3-7; Ger 14,12), ma dovrà privarci di qualcosa per favorire gli altri e ristabilire la giustizia e la pace in tutti i rapporti. Nel Nuovo Testamento Gesù si prepara all’inizio della vita pubblica ritirandosi nel deserto per quaranta giorni, dove rimane in digiuno (Mt 4,1-2; Lc 4,1ss). Come nuovo Mosè, a differenza del popolo che si ribella a Dio nel deserto, Gesù vince così le tentazioni che vorrebbero indurlo a fuggire dal compimento della sua missione. Nel corso della vita pubblica si oppone alla pratica formale del digiuno, insegnando che esso è soprattutto segno dell’attesa dello Sposo messianico, che dona l’acqua e il pane della vita. Così, Gesù ci insegna a privarci di tutto ciò che occupa il posto da dare a Dio e a liberarci da ogni arroganza nella relazione con Lui e con il prossimo. Il digiuno si coniuga pertanto all’amore e la sua pratica diventa rimando al primato dell’Altissimo e alla carità verso gli altri, fonte di pace e di gioia (cf. Mt 6,16-18).
L’altro nome del digiuno voluto dal Signore è, dunque, l’amore vissuto secondo il disegno di Dio, l’opposto del chiamarsi fuori egoistico, come dell’attivismo di chi pensa che tutto dipenda dalle proprie forze. L’appello di papa Leone è perciò un invito a sentirci tutti coinvolti e responsabili per la causa della pace e a chiedere insieme a Dio di illuminare chiunque possa farsi operatore di una pace giusta e vera. È qui che si comprende perché il digiuno deve unirsi alla preghiera: dialogo di Dio con Dio nel cuore dell’uomo, partecipazione alla vita trinitaria nella quale il Padre, eterna fonte dell’amore, genera il Figlio, eterno Amato che ricambia il dono nello Spirito Santo, eterno amore, la preghiera è lasciarsi amare da Dio e imparare da Lui ad amare il prossimo, accettando di essere “trasfigurati” secondo la volontà del Signore e il disegno che ha per ciascuno e per tutti. Come aveva affermato papa Francesco, invitando a vivere il Giubileo in un’intensa “sinfonia” orante, occorre «preghiera anzitutto per recuperare il desiderio di stare alla presenza del Signore, ascoltarlo e adorarlo. Preghiera per ringraziare Dio dei tanti doni del suo amore per noi e lodare la sua opera nella creazione, che impegna tutti al rispetto e all’azione concreta e responsabile per la sua salvaguardia. Preghiera come voce “del cuore solo e dell’anima sola” (cfr. At 4,32), che si traduce nella solidarietà e nella condivisione del pane quotidiano. Preghiera che permette a ogni uomo e donna di questo mondo di rivolgersi all’unico Dio, per esprimergli quanto è riposto nel segreto del cuore» (11 febbraio 2022). Rispondendo all’appello di papa Leone, chiediamo al Signore che tutto questo si realizzi in ciascuno di noi, sì che il dono con cui l’Eterno risponde alla nostra preghiera produca in pienezza i suoi frutti di riconciliazione, di rinnovamento e di pace per tutti…