+ Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto
La speranza per tutti
Messaggio per la Quaresima 2025
All’inizio di questa Quaresima, vissuta nell’anno del Giubileo che Papa Francesco ha voluto centrare sul tema della speranza, vorrei invitare a riflettere su questa virtù teologale, di cui tutti abbiamo immenso bisogno di fronte alla vita e alle sue sfide: sperare, in fondo, altro non è che aiutare la vita. Lo fa capire un testo Giorgio Caproni, voce poetica del nostro Novecento, credente assetato di luce e di bellezza: «La vita, una volta che è data, non la si può togliere… Semmai, bisogna cercare di aiutarla». Come aiutare la vita? Come farla amare e spendere nel modo migliore? È stato in particolare Benedetto XVI a rispondere a queste domande nell’Enciclica, intitolata con le parole di San Paolo Spe salvi, “salvati nella speranza” (Rom 8,24), in cui ha indicato precisamente nella speranza l’urgenza decisiva cui corrispondere per dare senso alla vita: «Il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta… di cui possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino» (n. 1). In un’epoca di accese passioni ideologiche, Roger Garaudy aveva definito la speranza «l’anticipazione militante dell’avvenire», con una sottolineatura dello sforzo del soggetto umano nella realizzazione del futuro sognato e atteso. In un contesto analogo, in forma alternativa a un’aspettativa solo mondana, il teologo Jürgen Moltmann l’aveva descritta come «l’aurora dell’atteso, nuovo giorno che colora ogni cosa della sua luce», evidenziando come vivere nella speranza significhi «tirare l’avvenire di Dio nel presente del mondo».
Benedetto XVI prende posizione rispetto a questa alternativa evidenziando come sperare non possa essere la semplice dilatazione dei nostri desideri: come dimostrano le avventure ideologiche della modernità, la speranza affidata al solo protagonista umano è sfociata nell’inferno dei totalitarismi, dei genocidi e delle solitudini, in cui l’altro è stato ridotto ad avversario da eliminare o a “straniero morale” da ignorare. Tutti abbiamo bisogno di una «speranza affidabile, in virtù della quale poter affrontare il nostro presente». Una speranza umana, solo umana, non ha prodotto maggiore libertà, uguaglianza e fraternità, perché «l’uomo, non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente dall’esterno creando condizioni economiche favorevoli» (n. 21). Anche la tecnica e la scienza si sono rivelate fallaci nelle loro pretese assolute: «Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore, allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l’uomo e per il mondo» (n. 22). Insomma, «non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore… che dà un senso nuovo alla sua vita» (n. 26).
La speranza non è qualcosa che possiamo gestire con le sole nostre capacità: la speranza è Qualcuno che viene a noi, trascendente e sovrano, libero e liberante per noi. Un amore unicamente umano «non risolve, da solo, il problema della vita. È un amore che resta fragile. Può essere distrutto dalla morte. L’essere umano ha bisogno dell’amore incondizionato» (n. 26). La speranza cui aprirci è dunque altra rispetto a un processo di emancipazione unicamente mondano: è grazia da accogliere con umiltà e fiducia oltre ogni calcolo e ogni misura. Per chi crede sperare vuol dire aprirsi all’avvenire donato da Dio, sperimentando in noi stessi il nuovo inizio, che nessuna forza mondana da sola è capace di generare. Lungi dall’essere evasione consolatoria, la speranza della fede è dono dall’alto che cambia il cuore e la vita e penetra la storia come forza di trasformazione personale, culturale e sociale: «La vera, grande speranza dell’uomo, quella che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio – il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora “sino alla fine”» (n. 27).
Consapevoli o meno, tutti abbiamo bisogno di questa speranza, che la fede riconosce fondata nella resurrezione di Gesù Cristo dai morti e di cui il credente è chiamato a render ragione (cf. 1 Pt 3,15). Si profila qui la grande domanda: come apprendere a sperare così? Benedetto XVI propone tre vie, capaci di aprirci al dono della speranza che viene a noi: la preghiera; la disponibilità a pagare un prezzo d’amore; l’apertura al giudizio divino. La preghiera è lo spazio dell’ascolto e dell’invocazione, in cui – lasciandosi amare da Dio – la persona si apre alle sorprese del Suo avvento, facendosi desiderio e attesa. Chi prega, riconosce di non essere solo in questo mondo, ma di camminare col divino Altro e con gli altri verso un futuro che gli viene incontro, rivelato, anticipato e promesso dalla morte e resurrezione di Gesù Cristo. In questo senso, il cristiano più che pregare un Dio, prega in Dio, invocando il Padre nello Spirito attraverso il Figlio, tutto da loro accogliendo e partecipando per grazia alla vita eterna del Loro amore. In questo senso la preghiera è un atto di speranza, pregustazione della bellezza futura, anticipata e promessa nel mistero pasquale di Cristo.
Il servizio, cui la preghiera conduce, è la forma concreta dell’esodo da sé senza ritorno, che libera il cuore e lo educa a lasciarsi condurre dal Signore. Servire la causa della promozione umana nella giustizia e nella pace è l’espressione più autentica dell’adorazione di Dio. Chi crede non vedrà mai nelle opere al servizio degli uomini uno spazio indifferente o addirittura un ostacolo a quest’unico amore, ma vi riconoscerà la realizzazione concreta e indispensabile dell’incontro con l’amato Signore, l’irradiazione di quello stesso amore. Il giudizio, infine, è il fuoco di verità che scaturisce dallo stare alla presenza di Dio guardando a noi stessi, agli altri e alle cose: esso apre al futuro voluto dall’Altissimo per noi e ci mostra la vuotezza di ogni scelta o progetto che siano unicamente secondo le misure dei nostri egoismi e delle nostre paure. Sotto il sole di Dio si impara a vivere l’esodo da sé stessi, animato dalla fede viva, dall’amore che arde e dalla speranza che non delude: «Quanti sperano nel Signore – afferma il profeta Isaia – riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (40, 31). È la speranza di cui abbiamo anche noi bisogno nell’esperienza segnata da prove, da ferite, da rischi e da lutti, che la pandemia, le violenze e le guerre in atto ci hanno fatto sperimentare e ci stanno facendo vivere: la speranza che ci dia le ali per correre senza affannarci e per andare avanti senza stancarci.
Chiediamo allora all’Eterno questo triplice dono e sforziamoci di viverlo con impegno in questo tempo di grazia della Quaresima. Facciamolo rispondendo all’invito di Papa Francesco: nei momenti in cui «le nostre forze apparissero fiacche e la battaglia contro l’angoscia particolarmente dura… possiamo ripetere la preghiera semplice, di cui troviamo traccia nei Vangeli e che è diventata il cardine di tante tradizioni spirituali cristiane: “Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, abbi pietà di me peccatore!” … È una preghiera di speranza, perché mi rivolgo a Colui che può spalancare le porte e risolvere il problema e farmi guardare l’orizzonte, l’orizzonte della speranza». Ripetere con fede questa invocazione, farlo anche più volte di seguito, ci aiuta a riconoscerci bisognosi e a confidare nel Dio, che non abbandona mai nessuno e proprio così ci fa vivere con speranza ogni ora del nostro pellegrinaggio verso la patria del cielo, promessa ed attesa. Quel Dio che in Gesù si è rivelato come amore e che riconosciamo tale in particolare contemplando il Cuore umano e divino del Salvatore. A Lui ripetiamo con fiducia: «Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, abbi pietà di me peccatore!». E a Maria, Sua e nostra Madre, che intercede per noi, diciamo con speranza: «Mater mea, fiducia mea!»