Sul riso e il sorriso di Dio

15-01-2006

L’ebraismo è anche la religione del riso: Scholem Aleichem, scrittore ebreo autore di deliziosi racconti dove il pianto sa mescolarsi delicatamente al riso e al sorriso (basti ricordare Cantico dei Cantici. Un amore di gioventù in quattro parti, Adelphi, Milano 2004), non esita a dire: ‘L’identità ebraica è uno scoppio di risa’. Non a caso il primo ebreo per nascita ha per nome Isacco, Yizhaq, che vuol dire ‘colui cui Dio sorride’ o ‘possa Dio sorridere’, dove il riferimento è al riso di Sara di fronte alla notizia che da lei bella, ma ormai non più giovane, nascerà un figlio, ma è non di meno al sorriso di Dio, che scompiglia i calcoli umani e si diverte a sfidare Abramo a credere nell’impossibile possibilità del Suo amore. Una delle feste più care alla coscienza collettiva d’Israele è quella di ‘purim’, festa della gioia per il dono della salvezza ricevuta da Dio per mano di una donna, Ester, festa dello scampato pericolo e del rivolgimento delle sorti, dove il cattivo Aman muore sul palo cui voleva appendere il giusto Mardocheo, e perciò festa dello scambio dei destini, rappresentato mediante le maschere in cui ciascuno deve rappresentarsi nel segno del suo contrario (con fine auto-ironia il professore serioso si vestirà da pagliaccio, il ricco avaro da generoso mendicante, il poveraccio da gran signore, da donna giovane e bella chi obiettivamente non sembra più esserlo’). L’ebreo che ride di Moni Ovadia (Einaudi, Torino 1998) è una gustosissima raccolta di esempi di questa sapienza del riso e del sorriso, che sa dare consigli anche all’Altissimo: come quando il povero Ebreo, cui è capitato veramente tutto il negativo possibile, sussurra timidamente all’Eterno queste parole: ‘Noi Ti ringraziamo, Signore del cielo e della terra, d’averci scelto e prediletto fra tutti i popoli. Ma un’altra volta, non potresti scegliere qualcun altro?’