Una festa della luce dov’era la notte

(Il Centro, giovedì 24 dicembre 2020, 1 e 15)

Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto

“…Eri tu il mistero, / la radiosa notte che racchiudeva il giorno, / che avrebbe rivestito di carne la luce / e dato un nome al silenzio”: questi versi di un monaco poeta, David Maria Turoldo, evocano il significato del Natale con l’intensità e la bellezza che ha la poesia. Essi ci dicono che il Natale è la festa della luce: dov’era notte, s’affaccia un giorno che la rende radiosa, sia pur ancora nella fragilità del tempo; dov’era carne, vuota di anima e di senso, risplende una luce, che la riveste, la nobilita, le dà la certezza di un futuro vittorioso d’ogni morte; dov’era silenzio, risuona un nome, che chiama ogni creatura alla sua vocazione originaria, quella scritta nella mente e nel cuore del Dio, che per amore non esita a farsi uno di noi, affinché ognuno possa partecipare alla vita che resterà per sempre, anticipo e promessa di avvenire eterno per ogni figlio di donna. Tutto questo è racchiuso nella piccolezza e nella fragilità di un Tu, rivolto al Bambino deposto nella mangiatoia: “…Eri tu il mistero”! Non un divino dominatore, lontano e straniero, non lo sfolgorio di una grandezza mondana, che s’illuda di potere ogni cosa, ma l’umiltà di un vagito, la tenerezza di una Madre, il calore di una mangiatoia, la discreta presenza di un Padre, tale agli occhi degli uomini, consapevole del mistero più grande che ha avvolto la sua Donna e ha consacrato per sempre la sua totale offerta all’Eterno. Questo è il Natale: la lontananza infinita che si fa vicinanza; l’inizio e la promessa di un futuro eterno, che esalta la dignità e il destino ultimo di ogni esistenza umana.

Anche nella prova durissima della pandemia che ha colpito il “villaggio globale” e che sta provocando tanto dolore e morte, aggiungendo alla sofferenza lo smarrimento di tante solitudini forzate, quest’incontro paradossale di terra e di cielo parla alla nostra storia e a ciascuno di noi: soprattutto ci dice che non siamo soli, che nessuno è un dado gettato nel nulla, che ogni essere umano è persona, soggetto libero e consapevole, degno di rispetto, fiducia, speranza, anche nella fragilità e persino nella condizione della colpa più grave, fatto per un avvenire di luce e di bellezza. Amati, siamo fatti per amare: fragili e mortali, siamo chiamati a un futuro eterno; minacciati da un virus letale, siamo chiamati a vivere il presente con fiducia e amore, destinati a un domani che infinitamente ci supera, responsabili gli uni degli altri. È questa responsabilità consapevole e solidale che rende la distanza dagli altri, che oggi ci è chiesta, una scelta d’amore ed impone il rispetto delle regole necessarie al bene di tutti, facendo del sacrificio dovuto alle tante limitazioni un atto di vera libertà al servizio del bene comune. Un Natale diverso, come esige la sfida della pandemia, e tuttavia pur sempre un evento di grazia, un tempo di stupore davanti al Mistero, un risveglio di impegno al servizio del prossimo, un desiderio di cielo che chiede fedeltà consapevole e scelte responsabili per questa terra di tutti.

Evocano questi scenari di luce, pur se vissuti nella penombra di questi giorni difficili, le parole dei poeti, come quelle citate all’inizio, capaci di consolare e nutrire l’abbandono dell’anima nelle mani del Dio, fattosi a noi vicino. Fra le tante possibili, scelgo quelle di uno stupendo Oratorio che Johannes Sebastian Bach volle comporre per celebrare il Natale come festa del nuovo inizio, reso possibile dall’accoglienza del dono che viene a noi dall’alto, luce per rischiarare anche le tenebre più fitte: “Come potrò accoglierTi, in che modo incontrarTi, / o anelito di tutto il mondo, tesoro dell’anima mia? / Gesù, poni accanto a me la Tua fiaccola, / affinché ciò che Ti dà gioia mi sia noto, / da me riconosciuto. / Oh mio amato bambino Gesù, / preparati una culla pura / per riposare nello scrigno del mio cuore / affinché mai io mi dimentichi di Te! / …O mio Gesù, quando morrò / io so che non andrò perduto, / perché il Tuo nome sta scritto nel mio cuore / ed ha scacciato la paura della morte. / …O Gesù, sii Tu solo il mio desiderio, / siimi sempre nel pensiero, / non permettere che io vacilli! / …Io vengo a Te, Ti porto / quel che Tu mi hai donato, / il mio spirito, i miei sentimenti, / il mio cuore, l’anima mia, il mio coraggio: / accetta tutto e fa’ che Ti sia gradito!” (Oratorio di Natale, 5. 9. 38. 42. 59). Il Figlio eterno, venuto fra noi, non nasce solo nella grotta di Betlemme, ma dovunque la fede accolga il Suo avvento, la carità si renda sollecita verso chi ha bisogno, la speranza illumini la notte e vi riconosca l’aurora del giorno promesso ed atteso per tutti. A ognuno di noi il compito di dare la risposta che tocchi il cuore e la vita, perché sia veramente Natale!