Lettera ai Padri e alle Madri

Carissimi,
non vi meravigli che il Vescovo vi scriva e si rivolga a voi con il titolo più grande che vi distingue e che vi avvicina al mistero dell’azione di Dio circa la vita.

Vi scrivo come padri e madri pensando all’esercizio di “paternità” che caratterizza il mio essere Vescovo, accompagnato dal ministero di maternità che illumina il volto della Chiesa cui apparteniamo.

Vi scrivo pensando a mio padre e a mia madre che, pur ormai da tempo entrati nella gloria di Dio, mi nutrono con il loro amore che mai mi fecero mancare nei giorni in cui il Signore li fece stare vicino a me figlio.

Questa lettera vuole essere anche una contemplazione della famiglia di Nazareth dove il rapporto genitori-figli si fa cattedra del rispetto delle persone , della fedeltà alla vocazione ricevuta e della tenerezza della quale si deve rivestire anche il rimprovero (“Tuo padre ed io ti cercavamo” Lc 2,48, disse Maria con amabile autorevolezza al Figlio, a suo modo disubbidiente).

“Partì con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso” (Lc 2,51): la famiglia è il luogo dove ognuno si fa servo e accoglie, nel rispetto dei ruoli, ogni interrelazione.

Vorrei chiedervi di non cedere alla tentazione di soddisfare ogni “voglia” dei figli: oggi si preferisce un figlio consumatore, quietato dal masticare qualcosa, un figlio addestrato al solo consumo, quasi felice di una ingordigia diseducante piuttosto che un figlio introdotto, con quotidiana pazienza, alla valutazione seria delle cose, al rispetto della fatica e a quella sana povertà che è sempre segno di dignità e di non corruttibile eredità.

Non abbiate paura se vi esce qualche urlo (anche al papà e alla mamma possono saltare i nervi), non abbiate paura se vi scappa una dignitosa s…. (anche il papà e la mamma ne hanno fatto esperienza fruttuosa), non abbiate paura di una casa un po’ in disordine (anche il papà e la mamma hanno fatto esperienza di una creatività nata dallo sparpagliare le proprie cose): l’importante è sapere di avere genitori “normali” che sanno riconoscere e candidamente dire: “scusa, figlio mio, sai, ho capito che ho sbagliato”.

Vi incoraggio a pensare la vostra casa e le vostre famiglie come luoghi abitati da Dio e abitati dai problemi dei fratelli: in esse debbono, come criterio e stile, avere domicilio la preghiera e la solidarietà attraverso un impegno e una testimonianza che è di volta in volta affascinante, ma anche laboriosa e perseverante.

Vivete l’educazione come arte collaborativa: non si tratta di avere modelli prefabbricati, piuttosto intelligenza per offrire ad ogni figlio ciò che veramente attende e lo fa crescere.

Siate capaci ogni giorno di rallegrarvi della ricchezza e bellezza dei vostri figli che si caratterizzano per la dignità della vita che hanno e per l’essere stati fatti da voi “figli di Dio”. Fatevi maestri di una formazione che convinca i figli del valore dell’appartenere ad una famiglia che nel contempo prepara allo sradicamento, all’andare via per seguire i sentieri della propria vocazione.

Cercate collaborazione educativa: gli insegnanti, il sacerdote, il medico e altre figure professionali abbiano la vostra stima e da essi possiate avere utile sostegno in una interazione sempre più necessaria.

Liberatevi e liberate dalla schiavitù delle cose, da questa moderna ossessione del lavoro che invece di “promuovere” rende più distratta e impoverita la vita.

Educate ed educatevi al perdono: vi sia maestro Dio che, di fronte al figlio disordinato e ribelle, imbandisce la tavola della gioia, rallegrato per averlo ritrovato (cfr. Lc 15, 23-24).

Quante volte colloquiando con i vostri figli, dono prezioso di Dio, avverto che essi portano nel cuore uno “spezzamento” (una frattura d’anima) e vivono un disorientamento che li fa naufraghi.

Non coccolateli; accompagnateli, addestrateli alla fortezza, virtù che dà senso alle azioni e che rende vere le scelte della vita.

Non cedete il ruolo di padre e madre per assumere quello ora sfuggente, ora ridicolo, ora vuoto, di amico/a dei figli: Dio vi ha fatto padri e madri, non amici. I vostri figli trovano e cercano amici, i genitori li hanno già.

Abbandonate quindi la frenesia della “educazione amicale” ; piuttosto crescete nell’arte educativa che è presenza, accompagnamento, tenerezza.

Non date solo nutrimento, fatevi nutrimento. Non abbiate paura di dire Dio ai vostri figli: Dio non può essere assente nella vostra vita e nell’itinerario di crescita di quanti Egli vi ha affidato.

Rintracciate, servite e adorate il mistero che ogni figlio porta in sè : aiutateli non solo nell’orientamento professionale, ma anche nello scoprire la volontà di Dio nella loro vita.

Non dimenticate che insieme (padre e madre) avete “chiamato” quel figlio o quei figli alla vita: non potete in nome di qualche difficoltà nei rapporti interpersonali o sollecitati da un recupero di evanescente libertà, presentare al figlio altre figure di padre o madre.

Oltrepassate la tentazione di una educazione senza verità che presto e sempre si fa irresponsabilità.

Non cedete al solleticante invito di una educazione mortificata dalla libertà senza regole: una disciplina della volontà diventa ad un tempo formazione della coscienza e di stile di una prossimità rispettosa.

Insieme ai vostri figli curate la costruzione di una comunità che nasce non solo dall’esercizio quotidiano del dono di sè, ma che è frutto di quell’Eucaristia domenicale alla quale vorrei che mai mancaste e che si fa nutrimento e icona del ministero di comunione.

Vi invito a recuperare insieme, come famiglia, il tempo della preghiera per imparare a ringraziare, a lodare, a chiedere rimettendovi sempre nelle mani della Provvidenza.

Aiutate i vostri figli ad essere partecipi e a condividere la vita pubblica con i suoi diritti e i suoi doveri. Abituateli a non delegare, ma a farsi coinvolgere in prima persona nella conduzione della comunità democratica per farne dei veri cittadini.

Vi chiedo anche di orientare i vostri figlioli non al culto di un’estetica del corpo quanto piuttosto alla bellezza del cuore buono e alla grandezza della dignità dell’essere persona.

A questo riguardo mi piacerebbe pensare che educaste i vostri figli a guardare con eguale amore tutte le età del vivere con dentro le bellezze, le imperfezioni, le speranze e le debolezze che caratterizzano il nostro essere persona. In una società dove gli anziani e i vecchi vanno crescendo, essi possano godere dell’attenzione delle nuove generazioni, quasi simboleggiando un passaggio di consegna dell’amore e del rispetto verso la vita.

Infine, non vi sembri fuori luogo che solleciti tutti a voler capire la vita come un dono da riconsegnare: per questo essa, la vita, va impreziosita con le opere buone piene di generosità e di misericordia.

Grazie per avermi letto. Vi chiedo di pregare per me.
Vi affido a Maria e Giuseppe, sposi singolari nonchè madre e padre originali.
Vi benedico nel nome di Dio che è Padre e Figlio e Spirito che dà vita.

+ Edoardo, Arc.

Chieti, 2 febbraio 2003
Festa della Presentazione del Signore