Ai carissimi Sacerdoti e Diaconi, diocesani e religiosi e ai carissimi Seminaristi. Giovedì Santo, 9 aprile 2020

Carissimi,
in questo Giovedì Santo così singolare a causa del contesto di prova e di dolore in cui si situa a motivo della minaccia del Coronavirus, non possiamo incontrarci e darci l’abbraccio di pace e l’augurio per la gioia e la fecondità del nostro sacerdozio, come sempre abbiamo fatto. Sull’esempio del Santo Padre abbiamo rimandato la Messa crismale a data da destinarsi, una volta superata la crisi della pandemia: lo abbiamo fatto con convinzione, perché è giusto non creare situazioni di assembramento di persone e dunque rischi di contagio, ahimè sempre possibili e in agguato. Premesso questo, sento il bisogno di rivolgermi ugualmente a Voi con tutto il mio cuore di padre e di pastore. Lo faccio anzitutto per augurare serenità, luce e forza al Vostro ministero così prezioso, ponendomi come in punta di piedi davanti alle Vostre vite, donate al Signore e ai fratelli, riconoscendole veramente come “terra santa”, luogo del “roveto ardente” (cf. Es 3), dove il Dio Crocifisso coronato di spine, prefigurato nelle spine del roveto abitato dall’Eterno, parla a tutti noi con amore e ci rivela il Suo nome. Questo nome è una promessa: “Ehyeh Asher Ehyeh” (Es 3,14), che vuol dire “Io sono Colui che ci sarà”. Il Dio in cui crediamo è Colui che sarà sempre con noi, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, in tempi di attività serena e feconda, come in tempo di prova, di limitazioni e di sacrifici esigenti, quali quelli che stiamo vivendo.